Ippazia di Alessandria, la prima donna matematica della storia.

 

Biografia a cura di Barbara Tinelli

La straordinaria figura di Ipazia di Alessandria, matematica, astronoma, filosofa, divulgatrice di cultura, insegnante, ultimo simbolo della scienza antica, donna di grande integrità morale, martire leggendaria, riveste particolare importanza nella storia della scienza, nella fattispecie della matematica: si tratta, infatti, della prima donna matematica della storia che abbia lasciato tracce apprezzabili dei propri studi, in un mondo che, persino ancora oggi, rimane quasi esclusivamente appannaggio maschile. Bisognerà aspettare addirittura madame Curie per avere un' altra donna paragonabile, quindi si può affermare che Ipazia sia stata, per quindici secoli, l' unica scienziata della storia. Nacque nel 370 d. C., figlia del matematico, astronomo e rettore dell' Università Teone di Alessandria; non si avvicinò autonomamente al mondo scientifico ma seguì le orme paterne, infatti fu appunto istruita dal padre allo studio delle cosiddette scienze esatte (in particolare geometria e astronomia). Teone voleva farla diventare, tramite l' istruzione, "un perfetto essere umano" (questo concetto indica che, all' epoca, le femmine spesso non erano considerate umane). Nei trattati di Teone che ancora ci rimangono è possibile rintracciare parte del lavoro di Ipazia, infatti, ad esempio, nell' intestazione del III libro del commento di Teone al Sistema matematico (Almagesto) di Tolomeo (opera che tratta della teoria astronomica geocentrica, la quale fu ritenuta valida fino alla "rivoluzione copernicana" del XVI sec.) leggiamo: "Commento di Teone di Alessandria al terzo libro del Sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia". Oltre alla formazione scientifica, contribuisce al vasto sapere di Ipazia anche quella relativa a tendenze teosofiche e occultistiche (da ricondurre alla scuola neoplatonica di Alessandria). In quel tempo, poi, non essendo ben definiti i confini tra scienza e magia, ogni filosofo o scienziato alessandrino era anche in parte un alchimista. Inoltre, in Alessandria era ben diffuso anche il sapere mistico ed esoterico delle religioni e filosofie egizie e assiro-babilonesi, di cui i greci si appropriarono culturalmente. Ipazia si recò ad Atene e a Roma per svolgere i suoi studi, e lì si mise in luce per le sue doti intellettuali ma anche per la sua notevole bellezza; di ritorno ad Alessandria, intraprese, nel Serapeo, l' insegnamento di matematica, astronomia, filosofia, meccanica; la sua casa divenne così un vero e proprio centro intellettuale. La sua opera più significativa è costituita dai tredici volumi di commento all' "Aritmetica" di Diofanto; che è considerato il "padre" dell' algebra. Notevole è anche il trattato, in otto volumi, sulle "Coniche di Apollonio" (Apollonio di Perga, studioso del III sec. che introdusse gli epicicli e i deferenti per spiegare le orbite dei pianeti); si ricordano anche trattati su Euclide e Tolomeo; tali edizioni sono importanti anche perché fanno riferimento ad opere che prima presero la via dell' Oriente durante i secoli, e poi tornarono in Occidente in traduzione araba, dopo un millennio di rimozione. Inoltre si ricorda l' importante Corpus astronomico, raccolta di tavole sui corpi celesti. Di quest' ultima opera ci parlano Filostorgio e il lessico della Suda. Delle opere di Ipazia, generalmente caratterizzate da un' impostazione didattico-divulgativa, non ci rimane molto; infatti sono andate quasi del tutto perdute; rimangono, però, alcune copie ritrovate nel Quattrocento, e per giunta, per ironia della sorte conservate a Roma nella Biblioteca Vaticana (dopo il saccheggio dei crociati nella Biblioteca di Costantinopoli), che si può considerare la "casa dei suoi sicari". Le sole notizie di prima mano su di lei le troviamo nelle lettere di Sinesio di Cirene, poeta e oratore, il suo allievo prediletto che dopo averla chiamata madre, sorella, maestra e benefattrice tradì il suo insegnamento, dal momento che divenne vescovo di Tolemaide. Le parole di Sinesio, però, manifestando ammirazione per la straordinaria figura di Ipazia, possono anche essere interpretate come la voce ammirata e devota di un uomo che ha compiuto una scelta ben diversa rispetto all' insegnamento della grande matematica, e che appare proprio per questo quanto mai degno di ascolto. Gli interessi di Ipazia abbracciarono anche meccanica e tecnologia: disegnò strumenti scientifici come un astrolabio piatto (strumento atto a misurare la posizione dei pianeti), uno strumento per misurare il livello dell' acqua, uno per distillarla, e un idrometro di ottone per determinare la gravità (densità) di un liquido. Per quanto riguarda la sua importanza come filosofa, ricordiamo che fu pagana e seguace del neoplatonismo più tollerante su base matematica; in questo senso si può dire che l' opera matematica di Ipazia viene completata, chiarita, esplicitata nel pensiero neoplatonico tramite questo concetto: il grande libro della natura è scritto con caratteri matematici, e solo attraverso questi ultimi è possibile la sua lettura. Fu inoltre fautrice della distinzione e autonomia tra religione e filosofia, separando nettamente (e così rendendo non incompatibili) da una parte la ricerca logica e scientifica orientata in senso neoplatonico, e dall' altra la scelta di fede come fatto personale. Socrate Scolastico cita infatti Ipazia come la terza caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino.

Damasco spiega come passò dalla semplice erudizione alla sapienza filosofica. In un epigramma di Pallada, poi, leggiamo uno straordinario elogio di Ipazia:

"Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole, / vedendo la casa astrale della Vergine,/ infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/ Ipazia sacra, bellezza delle parole,/ astro incontaminato della sapiente cultura".

Come nota la studiosa Beretta, il terzo verso è eloquente, "verso il cielo è rivolto ogni tuo atto"dal momento che sembra indicare contemporaneamente la speculazione filosofica e l' interesse per l' astronomia. Lo straordinario coraggio della grande matematica le permise di rifiutare la conversione al Cristianesimo, di non abbandonare le sue idee, così venne brutalmente assassinata.Il contesto in cui avvenne il delitto è il seguente: nel primo periodo dell' espansione della cristianità il misticismo e l' astrologia tendevano a soppiantare  l'osservazione scientifica, ad Alessandria venne distrutta la Biblioteca e ciò che era rimasto del Museo; la scienza greca sarebbe sopravvissuta solo a Bisanzio per poi riapparire e rifiorire nel mondo arabo. In una città cosmopolita come Alessandria in quel periodo teatro di intrighi e lotte per il potere, Ipazia ebbe influenza negli ambienti filosofici e politici, frequentò il prefetto romano Oreste, che era in rotta con il patriarca Cirillo. Il Cristianesimo ormai, cessando di essere perseguitato con l' editto di Costantino del 313, divenne legittimato come religione di Stato con l' editto di Teodosio del 380. 

Allora iniziò a perseguitare il paganesimo, nel 392, quando furono distrutti i templi greci e bruciati i testi "pagani". Nel 412 ad Alessandria divenne patriarca il fondamentalista Cirillo (che poi, successivamente, fu "giustamente" fatto santo) e, nonostante il suo ruolo di predicatore della religione dell' amore, iniziò una persecuzione contro i neoplatonici e gli ebrei, costringendoli  all'esilio, e più in generale iniziò ad opprimere filosofi e scienziati, definendoli eretici. Cristiani fanatici e violenti ( il lessico Suda li definisce esseri abominevoli, vere bestie), spesso analfabeti, avevano costituito una specie di "Ku-Klux-Klan" che seminava terrore per Alessandria, e Cirillo si servì di questo "braccio armato" di combattenti per ferire il prefetto Oreste, ma la sua vera vittima fu Ipazia. Non furono i violenti fanatici cristiani i responsabili dell' orrenda fine di Ipazia, bensì un "pio" lettore ufficiale di sacre scritture, Pietro il Cireneo, e i suoi seguaci.

Ipazia aveva la "colpa" non soltanto di essersi rifiutata di convertirsi e di abbandonare le proprie idee, ma anche di rappresentare, quale "faro culturale" di Alessandria, una potenziale minaccia per il potere spirituale e quello temporale; basti pensare che allora la grande matematica era a capo della scuola neoplatonica alessandrina, e in quell' epoca una scuola filosofica poteva arrivare ad influenzare la politica cittadina.
Cirillo non poteva tollerare il cenacolo scientifico neoplatonico, vivo centro spirituale che intralciava, disturbava il suo progetto di conquista della città. Inoltre, un' altra possibile causa dell' odio di Cirillo nei confronti di Ipazia è da ricercare nell' invidia che poteva provocare la notevole considerazione e notorietà che la filosofa aveva raggiunto in città, negli ambienti culturali. Infatti, Cirillo rappresentava il massimo potere ecclesiastico, ma Ipazia era il più importante esponente culturale, occupando la prestigiosa cattedra di filosofia, la quale derivava addirittura da Plotino.

Le modalità del suo assassinio, avvenuto nel 415, furono tremende: la donna fu aggredita mentre rincasava, trascinata davanti alla chiesa del Cesario, le furono cavati gli occhi, fu scarnificata con coltelli fatti da conchiglie affilate, smembrata e infine bruciata in un letamaio. Così morì una delle poche donne che ebbero la possibilità di distinguersi nella scienza, considerata fino a non molto tempo fa, appannaggio esclusivo del mondo maschile; una donna che pagò con la propria vita questa passione, facendo in modo che il suo nome rimanesse scritto a caratteri indelebili negli annali della matematica. L'assassinio rimase nascosto tra le pagine di una storia misconosciuta.

Con la sua morte, non solo ebbe fine  l'insegnamento neoplatonico in Alessandria e in tutto l' impero, ma scomparve una delle menti più geniali della storia dell' umanità, nonché una delle più importanti comunità scientifiche di ogni epoca. La sua drammatica morte ha colpito scrittori di diverse epoche che l' hanno immortalata come l' ultima e pura erede del pensiero greco. Dopo la morte di Ipazia, bisognerà attendere il Rinascimento prima che un' altra donna diventi così celebre per lo studio della matematica (questo è il caso, ad esempio, di Maria Gaetana Agnesi, conosciuta come una delle migliori matematiche europee, anch' essa discriminata, alla quale non fu concesso un posto di ricercatrice). La vita di Ipazia cominciò ad essere scritta circa vent' anni dopo la sua morte; i primi ad occuparsi di lei furono due padri della Chiesa, Socrate Scolastico e Filostorgio; essi insistono sui meriti di Ipazia, e va sottolineato il fatto che quando scrissero le loro opere, i responsabili della morte della filosofa erano ancora vivi, dunque rischiarono molto, dal momento che accusarono apertamente Cirillo. Essi fanno riferimento anche al merito di Ipazia di aver fatto sì che si realizzasse la politeia, per mezzo della quale erano i filosofi a decidere le sorti della città. Inoltre essi ci testimoniano che Ipazia univa un insegnamento esoterico ad uno pubblico, simile a quello dei sofisti del I secolo: tramandava generosamente il suo sapere attorno a lei, non riservando la conoscenza solo per sé e pochi eletti, ma elargendola agli altri. Alcune testimonianze attestano che fosse solita, vestita di un mantello, uscire in mezzo alla città e spiegare pubblicamente, a chiunque volesse prestare ascolto, Platone, Aristotele, o le opere di qualsiasi altro filosofo. Naturalmente, questo le attirava autorità e simpatia da parte del popolo. Non solo, però, ciò avveniva da parte del popolo: parecchie autorità cittadine la ossequiavano e molti capi si recavano da lei prima di prendersi carico delle questioni pubbliche. Socrate sottolineò il tema dell' odio e della gelosia: ci dice infatti che Ipazia era giunta ad un alto grado di cultura tanto da superare i filosofi suoi contemporanei; accedeva anche al cospetto dei capi della città, non provava vergogna nello stare tra gli uomini; a causa della sua straordinaria saggezza tutti la rispettavano profondamente e ne avevano timore reverenziale. Per tutti questi motivi, è facile capire che si attirò le invidie della gente, oltre che l' ammirazione. Anche Damascio di Damasco, che scrisse circa ottant' anni dopo Socrate Scolastico e Filostorgio, parla dell' invidia nei confronti di Ipazia, in particolare da parte di Cirillo. Non mancarono comunque autori che, come Giovanni di Nikiu, difesero il vescovo cattolico, reputando il linciaggio della filosofa una meritata punizione; secondo tale autore, la filosofa ipnotizzava i suoi studenti con la magia e si dedicava alla satanica scienza degli astri e tutta la popolazione circondò il patriarca Cirillo e lo chiamò "nuovo Teofilo", perché aveva liberato la città dagli ultimi idoli. In realtà, a quanto pare, Cirillo non scontò alcuna pena per l' assassinio di Ipazia. Oreste, infatti, denunciò il fatto a Roma, ma Cirillo dichiarò che la donna fosse sana e salva ad Atene; si aprì un' inchiesta ma il caso fu archiviato per "mancanza di testimoni". Di Ipazia si sono occupati molti autori: solo per fare alcuni esempi, Voltaire ne parla evidenziando l' avvenenza e l' ingiusta condanna della donna; anche Vincenzo Monti la menziona quale martire innocente, così come fa, in un saggio del 1720, anche l' irlandese John Toland. Inoltre ricordiamo un poema di Diodata Saluzzo-Roero, un romanzo di Kingsley, uno dei Poèmes antiques di Le conte de Lisle; la storia romanzata di Caterina Contini e lo studio di Maria Dzielska. Comunque, una certa forma di "censura" nei confronti di questa straordinaria donna sembra durare ancora, dal momento che anche oggi, nei libri di filosofia antica, è raramente menzionata.