ORIGINI DELLA TEORIA DELLA PROBABILITÀ
Mentre B. Pascal stava lavorando alle sue Coniche, il suo amico, il Chevalier de Méré gli poneva questioni come questa. Gettando un dado otto volte un giocatore deve tentare di fare uno, ma dopo tre tentativi non riusciti il gioco viene interrotto. In che misura ha diritto alla posta?
(CARL B. BOYER, Storia della Matematica)

MathMese

Pubblicazione mensile della sezione Mathesis “E. D’Ovidio” – Campobasso

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Anno II, Numero 5

Settembre  2003

B. PASCAL

(1623 – 1662)

 

DILEMMI DI CAPRE E DI PRIGIONIERI CON LA STRAORDINARIA PARTECIPAZIONE DI UNO SCIMPANZÉ (In due parti)

STORIE DI SORTE E DI PROBABILITÀ. QUANTITÀ E GRADO DI CERTEZZA DELLA CONOSCENZA

di Giovanni A. Vitullo - Montàgano

(seconda parte)

Nel gioco delle tre carte, proposto dal matematico americano Warren Weaver, nel 1950 (invero come variazione di quello delle tre scatole contenenti due monete ciascuna di distinti metalli una, entrambe del primo metallo la seconda ed entrambe dell’altro metallo la terza secondo formulato, nel 1889, per la prima volta dal matematico francese Joseph Bertrand, (Bertrand, 1889)), si chiede se il giocatore deve o no accettare la scommessa alla pari, e perché dovrebbe o no, se il conduttore del gioco gli abbia permesso di scoprire una faccia di una carta di tre, così colorate: due in entrambe le facce di un colore distinto per ognuna, l’ultima avente le due facce ciascuna di uno dei due colori, e aver visto il colore di una faccia, che anche la faccia nascosta ha lo stesso colore.

Ma per accettare la scommessa alla pari per una scommessa a somma zero anche le possibilità devono essere pari. A tal punto si osserva invece che se i colori sono C e c, e si è scoperta la faccia di colore c di una carta, se questa è la carta con entrambe le facce colorate di c, essa potrebbe essere o c1 recto e c2 verso, o c2 recto e c1 verso, altrimenti può essere quella con c recto e C verso e quindi le possibilità che l’altra faccia sia dello stesso colore di quello scoperto sono 2 su 3 per cui la scommessa non è equilibrata. Per equilibrarla il conduttore dovrebbe controbilanciare la posta del concorrente con una di valore doppio.

Nel paradosso dell’asso a sorpresa, la formulazione originale prevedeva la distribuzione di tredici carte, ma, utilizzandone solo quattro, si rende più evidente il punto critico del paradosso. Si distribuiscono due assi di semi distinti e due carte ciascuna per ognuno dei due semi restanti diverse dai rispettivi assi, dopo averle mischiate e distribuite a due giocatori di cui il primo dica che ha un asso, quali sono le possibilità che abbia anche l’altro? Se invece dice che ha l’asso di un seme, le possibilità che abbia l’altro sono le stesse? Considerando che il numero delle accoppiate di carte distribuite, pari al numero delle combinazioni semplici di quattro carte distinte a due a due, è sei, di queste, una ha i due assi, due hanno ancora uno di questi assi e le carte di semi distinti, mentre altre due hanno le stesse due carte con l’altro asso, e un’ultima coppia non contenente assi. Si rileva quindi che la possibilità di avere  entrambi gli assi avendone uno è 1 su 5, mentre la possibilità di avere entrambi gli assi avendone uno con segno accusato, sale a 1 su 3. La differenza delle probabilità tra i due casi è diversa in sintonia con la quantità d’informazione fornita dal concorrente, e in conformità a quanto detto per la prima volta da Léon-Nicolas. Brillouin nel 1951, cfr. supra nota 8: maggiore possibilità di un evento significa maggiore neg entropia, maggiore quantità di informazione e quindi conoscenza più circostanziata.

A. II. Paradossi. Il paradosso della predizione o di Newcomp (Odifreddi, 2001, 228-230), (Falletta, 2001, 120-121), dal nome del fisico del Laboratorio di Livermore dell’Università della California che lo propose, William A. Newcomp, che a sua volta lo trasse da un altro paradosso, quello della predizione (o preveggenza) equivalente a quello del prigioniero, dai quali concluse che:

1.                    la preveggenza è impossibile, ma se fosse possibile non sarebbe vantaggiosa;

2.                    solo in un gioco a strategia semplice è stabile, in assenza di comunicazione tra i prigionieri, un comportamento non collaborante, invece in uno con le metastrategie è più stabile un comportamento collaborante, ma questa situazione viene determinata nella teoria delle decisioni, ove le metastrategie vengono considerate in una situazione di rivisitazione catartica, o più prosaicamente di feedback attenuativo, non in una situazione conflittuale di interazione immediata di diretto confronto competitivo tra soggetti singoli o collettivi.

Il paradosso della predizione consiste nello scegliere una o due delle scatole disponibili in cui un Preveggente, che ha quasi certamente previsto la scelta in modo che se il concorrente le sceglie entrambe, avrà messo 1.000

dollari nella prima e nulla nella seconda e quindi il concorrente avrà 1.000 dollari, se invece questi sceglie solo la seconda, il Preveggente che l’avrà previsto pone in essa 1.000.000 dollari, lasciando i 1.000 dollari nella prima. In questo caso il concorrente avrà certamente 1.000.000 di dollari, che è meglio di ottenerne solo 1.000. Nel caso che il Preveggente si sia sbagliato, visto che la sua previsione non è certa, ma quasi certa, e la scelta va sulle due scatole, la vincita sarà di 1.001.000 dollari, o che comunque è pari ai 1.000 se non si è sbagliato. Invece se si è sbagliato e si sceglie solo la seconda, si può prendere nulla, invece prendendone entrambe comunque si prendono 1.000 dollari, a questo punto il dilemma conviene scegliere solo la seconda o entrambe? Se si sostiene che è impossibile prevedere il futuro correttamente non solo con certezza, ma anche con una possibilità di poco superiore al 50%, ossia si nega la preveggenza, in accordo con una visione non deterministica del Mondo, il paradosso è impossibile e pertanto conviene scegliere entrambe le scatole, se invece si accetta una preveggenza almeno pari a 50,05%, conviene prendere solo la seconda.

Infatti, sia p la previsione corretta, se si prendono entrambe le scatole si guadagna mediamente in migliaia di dollari

m1=p*1-(1-p)*1.001=1.001-1.000p,

mentre, se si prende solo la seconda si guadagna mediamente m2=p*1.000+(1p)*0=1.000p;

dalle due relazioni risulta facilmente che, se le due medie sono m1³m2, in tal caso m1+m2³2m2 e nel risultare

(m1+m2)/2m2³1

e quindi nel caso specifico 1.001/2.000p³1, vale a dire 50,05%³p; se invece, m2>m1allora m1+m2<2m2 e quindi

(m1+m2)/2 m2 = 1.001/2.000p<1;

per cui questa volta risulta p>50,05%.

Da quanto emerso, affinché si guadagni mediamente in più, scegliendo la seconda scatola, occorre che la capacità di predizione p nel caso in specie sia maggiore del 50,05%, o più in generale di (m1+m2)/2m2, se nelle due scatole vi fossero rispettivamente m1 e m2 migliaia di dollari, e quindi nel caso di validità del paradosso si applicherebbe il principio dell’utile presunto o di utilità, che si accorda con la teoria dei giochi e quella delle decisioni, nelle quali si ragiona, in ambiti dianzi cennati, con le metastrategie; al contrario, se la capacità preveggenza è minore o al tutt’al più uguale a 50,05%, il paradosso non vale e pertanto è meglio scegliere entrambe le scatole in cui la media m1 è non minore della m2, nel qual caso si applicherebbe il principio del vantaggio dominante o di dominanza.

 

Appendice B

Sorte o Divinazione con gli antenati dei dadi. Astragali, bastoncini o ossicini

B. I. Astragali. L’astragalo, in particolare, di capra o di montone, è un osso di forma irregolarmente cuboidea che nell’uomo si articola con la tibia e il perone, il calcagno e lo scafoide. Dagli antichi era usato, come attestano gli esemplari rinvenuti in siti archeologici in aree anticamente abitate da Sumeri e Assiri, per divinazioni (astragalomazia, consistente nel numerare di cinque astragali le quattro facce su cui ognuno può ricadere e dalle combinazioni possibili trarre i responsi) e per giochi di sorte (che, similmente a quello dei dadi, gettandone a terra un certo numero, solitamente cinque, si consegue o si indovina la combinazione vincente dei numeri associati a ciascuna delle quattro facce, anziché le sei dei dadi, di ognuno di essi). L’astragalo ha le caratteristiche che rendono ogni esemplare diverso da un altro e con diversa possibilità di ricaduta per le quattro facce. Quello degli ovini o dei caprini, avendo una dimensione più accentuata rispetto alle altre due quasi uguali, assume una forma allungata di un tozzo bastoncino.

B. II. Bastoncini o ossicini. Un’esplicita allusione a bastoncini o ossicini, usati per consultare Dio e ottenere sia oracoli occasionali, sia responsi sulla giustezza della condotta tenuta davanti a Lui dal suo popolo eletto, è riportata in varie parti dell’Antico Testamento. Essi costituivano gli urim (maledico) e tummim (benedico, o meglio innocente, che ha le stesse consonanti, le sole lettere con cui l’ebraico è scritto) contenuti in una tasca quadrata attaccata sopra la cintura e sul pettorale dell’efond, paramento

principale del gran sacerdote quale custode delle sorti divine, e che secondo le direttive di Mosé, cfr.: Esodo 28, 30

Si legherà il pettorale con i suoi anelli agli anelli dell’efond mediante cordone di porpora viola e perché il pettorale non si distacchi dall’efond. Così Aronne porterà il nome degli Israeliti sul pettorale del giudizio [dodici pietre, una per ogni tribù dei dodici figli di Israele cornalina, topazio, smeraldo, turchese, zaffiro, berillo, giacinto, agata, ametista, crisolito, onice e diaspro] sopra il suo cuore, quando entrerà nel Santo, come memoriale davanti al Signore per sempre. Unirai al pettorale del giudizio gli urim e i tummim. Saranno così sopra il cuore di Aronne quando entrerà alla presenza del Signore: Aronne porterà il giudizio degli israeliti sopra il suo cuore alla presenza del Signore per sempre.

Erano usati per consultare Dio e ottenere un oracolo; venivano estratti o lanciati da un recipiente e la posizione assunta era poi interpretata per dare una risposta o scegliere tra due alternative: a tal proposito cfr Samuele 14, 41-42 [Testo greco], quando Gionata, all’insaputa di Saul, nell’aver assaggiato un po’ di miele sulla punta del bastone intinto in un favo, causò la mancata vittoria sui Filistei, nel venir meno al solenne giuramento fatto fare al popolo dal padre Saul di non toccar cibo per tutto il giorno, nonostante fosse sfinito, prima di aver avuta piena vendetta sui nemici

E Saul disse “Signore, Dio d’Israele, perché non hai risposto oggi al tuo servo? Se è in me o in mio figlio Gionata quel peccato, Signore, Dio d’Israele dà Urim; se invece il peccato è nel tuo popolo dà Tummim”.

Ed infine, sempre in riferimento ai termini dal senso incerto, indicanti oggetti utilizzati per conoscere, tirando a sorte, la volontà di Dio, cfr.: Proverbi 16, 33

Nel grembo si getta la sorte

ma la decisione dipende tutta da Dio.

La sorte, del primo verso, è verosimilmente rappresentata dai dadi, ma forse meglio ancora dagli astragali, molto più congeniali di quelli a comunità come la veterotestamentaria (che basava su greggi e armenti non solo il suo sostentamento, ma anche i suoi riti propiziatori al nume) ed è racchiusa nel pettorale dell’efond, come nel supra citato Esodo 28, 30. Il secondo verso, nell’esplicitare pienamente la preoccupazione religiosa della sapienza israelitica, mentre da un lato accentua nel primo l’imperscrutabilità del nume, da un altro ne dà il senso di concreta esperienza e un possibile mezzo di contatto col trascendente.

 

Appendice C

simmetria e omogeneità costitutiva degli strumenti aleatori ad assoluto comportamento casuale

In linea di principio, affinché ogni faccia di un cuboide o di un discoide abbia la stessa possibilità di uscita rispetto a ciascuna delle altre che lo costituiscono è la condizione che non vi siano tendenze né a favore, né a sfavore di nessuna; è la condizione essenziale che caratterizza un comportamento equo del dado o della moneta; è la prova di simmetria delle forme e omogeneità della sostanza dei costituenti dei manufatti e delle eque possibilità di caduta di ciascuna faccia rispetto alle altre componenti il manufatto stesso, quindi di garanzia di gioco equo tra le possibilità di vincita e quelle di perdita. Su queste basi possono ricondursi le osservazioni e la valutazione di probabilità tra vari eventi incompatibili ed esaustivi, giudicati ugualmente possibili a partire dalla possibilità di caduta su una delle possibili sei facce di un dado o due facce di una moneta

In pratica, quindi, affinché un dado o una moneta abbiano le caratteristiche di cadere con pari possibilità su una qualsiasi delle loro facce, occorre che, oltre ad avere forma geometrica perfettamente simmetrica, si possano considerare costituiti di materiale finemente omogeneo, nel senso che la granulometria di esso sia trascurabile rispetto alle dimensioni del manufatto e la miscelazione dei granuli o delle fasi sia uniformemente ripartita in ogni direzione: solo così è garantibile una densità di massa uniformemente distribuita nell’intero manufatto, e quindi il conseguente equilibrato comportamento inerziale tanto statico quanto dinamico rispetto al centro di simmetria. La dinamica comportamentale è essenziale poiché, se il manufatto non ha assi d’inerzia indifferentemente scambiabili rispetto alle facce superficiali di maggior rilievo, non vi sarà equa possibilità di caduta su ognuna di esse estremamente maggiori rispetto a quella di caduta sul bordo. Se un discoide, a base circolare, e di diametro preponderante rispetto al suo spessore (almeno di un ordine di grandezza, ovvero dieci volte maggiore), è lanciato, o lasciato cadere, su una superficie piana, si adagerà con molta più possibilità sulle due facce piane anziché sul suo contorno circolare dall’instabile equilibrio, reso tanto più precario quanto maggiore è la differenza dimensionale, quanto più alta è la densità di massa specifica del manufatto. A tali condizioni le facce preferenziali su cui cadrà sono le due piane, e con equa possibilità tra loro

ripartita se, oltre alla regolarità geometrica della forma cilindrica, non vi siano addensamenti massivi tali da discostare il piano mediale della massa da quello geometrico del manufatto, tale da produrre sbilanciamento statico o dinamico rispetto al piano medio tra le due facce, nel qual caso la possibilità di caduta su una di esse rispetto all’altra non sarebbe più equa. Il problema del bilanciamento dinamico non è solo un fatto di equa possibilità di caduta sul verso o sul recto di una moneta, ma nel quotidiano è più tangibile e ricorrente di quanto si possa pensare. Si pensi a quanto sia importante per i gommisti e i manutentori delle nostre utilitarie, o anche solo per chi deve caricare la lavatrice per il suo bucato.

I manufatti che più si prestano a simulare la casualità di sorteggio fra possibili facce superficiali di solido a simmetria preponderante possono essere, quindi, i discoidi di forma cilindrica a spessore ridotto rispetto al diametro circolare della base e ad alta densità di massa specifica, i parallelepipedi con una dimensione a forte prevalenza sulle altre preferibilmente uguali, sì da costituire una base possibilmente quadrilatera regolare, in modo che ciascuna delle quattro facce perimetrali a due a due parallele costituiscono le quattro eque e preponderanti possibilità di caduta su una di esse rispetto alle altre due estreme di punta del bastoncino (o meglio, bacchetta o barretta a base quadrangolare) lanciato. Per evitare possibili effetti o intralci perturbativi imprimibili nei lanci da parte dei giocatori, sempre con quattro facce sarebbero stati preferibili solidi a forma di tetraedri regolari a facce triangolari equilatere, che avrebbero continuato a dare quattro possibili risultati, ma, per la difficoltà costruttiva, si sarà imposto un manufatto più facilmente costruibile, il dado a forma di esaedro regolare. Un astragalo può ricadere in quattro modi diversi e ha caratteristiche che rendono ogni esemplare diverso da un altro e con diverse possibilità di caduta su ciascuna delle quattro facce, e quindi di uscita di quella a questa contrapposta. Il cubo, le cui sei facce determinano i sei possibili eventi, per motivi di simmetria, se non volutamente truccato o involontariamente mal realizzato, mostra invece con uguale possibilità ognuna delle possibili facce equamente occorrenti. Perché il manufatto si comporti in linea di principio allo stesso modo dell’esaedro regolare, è necessario che, oltre ad essere realizzato a perfetta opera d’arte per averne la regolarità della forma, debba scrupolosamente consistere tutto dello stesso materiale finemente omogeneo a densità di massa uniforme. Esso non dovrà presentare nodulazioni, a diversa densità di massa, distribuite in posizioni dissimmetriche in porzioni laterali eccentriche rispetto ai piani e agli assi di simmetria del manufatto stesso. Tali difformità comprometterebbero la simmetrica distribuzione spaziale dei costituenti di un manufatto, e quindi gli equilibri del primo ordine[1] e del secondo ordine[2] di esso, nonostante fosse realizzato in forma geometrica regolare a perfetta opera d’arte. Il dado inoltre, sempre per garantire l’equa possibilità, visto che comunque sarebbero garantite l’esaustività e l’incompatibilità degli eventi, deve avere dimensioni così piccole che il centro massa sia coincidente con quello geometrico e si discosti da quello gravitazionale per meno di tre ordini di grandezza inferiore a quella dello spigolo, il che si ottiene se il materiale sia a più alta densità specifica possibile, ad elevata elasticità per garantirne l’indeforma­bilità e quindi la costanza di risposta, nonché l’elevata durezza per essere a ridotta usurabilità, affinché il comportamento di esso continui a garantire l’equa possibilità di occorrenza dei sei possibili eventi. Va rilevato, inoltre, che altre precauzioni devono riguardare l’ambiente d’interazione col dado per assicurare che i lanci e le conseguenti cadute non adducano turbativa all’occorrenza equa degli eventi in gioco. A tal fine si assicura che la sua caduta avvenga su sottile ma uniforme compatto strato di feltro ricoprente una superficie regolare ed elastica, quale può essere una lastra di lavagna o di ardesia, affinché esso possa notevolmente ridurre le possibilità di sfaldamento e di deformazione per abrasione superficiale del dado che impatta la superficie d’urto, preservandolo quindi dall’usura e soprattutto dal logoramento deformante la forma originaria. Nel contempo l’esiguo ma uniforme e compatto strato di feltro accoglie, in un inviluppo elastico, un ammassamento cooperante, in una maggiorata zona d’urto, delle singole irregolarità superficiali del manufatto, sì da mediarne le tensioni locali, riducendone perciò le possibilità di sfaldamento: le raccoglie quindi per assicurare un urto più massivo con la dura ed elastica superficie della lastra sottostante che, pur senza diretto contatto col dado, risponde elasticamente ad esso, mentre l’attenuazione, dovuta allo strato di feltro, la cui elasticità specifica è diversa tanto da quella della lastra, quanto da quella del dado, è però compensata dalla maggior superficie cooperante all’urto, la quale, a forma di areola circolare, è simmetricamente distribuita rispetto al centro di

impatto e pertanto non addurrà significative perturbazioni comportamentali alle naturali traiettorie d’urto diretto e di rimbalzo del dado sulla lastra, così da indurre a pensare che non arrecherà turbativa nemmeno all’occorrenza naturale degli eventi conseguenti i lanci.

 

Appendice D

Fondamento statistico e misura Dell’informazione

Infatti, sia S un sistema identificabile in N stati Equiprobabili[1] (nel senso che ciascuno di essi abbia uguali possibilità di essere assunto da S), Esaustivi (nel senso che S non potrà assumere nessun altro stato oltre agli N considerati) e tra loro Incompatibili (nel senso che S non potrà contemporaneamente assumere più di uno stato tra gli N dati), in seguito la concomitante evenienza di tali ipotesi potrà essere brevemente indicata con l’acronimo EEI aggiunto al numero naturale degli stati di S.

Soltanto la concorrenza di specifiche, o notizie particolari, dette informazioni supplementari, consentirà di presagire, o meglio di individuare quando certamente si potrà realizzare uno stato i tra gli N stati EEI assumibili da S.

Quanto maggiore è lo stato d’incertezza delle condizioni iniziali del sistema S, che si manifesta con l’aumento del numero N dei suoi stati EEI, tanto maggiore sarà la quantità di informazione necessaria per selezionare, quindi scegliere, o, in tal senso, equivalentemente individuare lo stato i tra gli N stati EEI di S.

Sia I0 la quantità di informazione alle condizioni iniziali in cui N sono gli stati EEI del sistema S, e Ii la quantità di informazione necessaria a conoscere l’assunzione dello stato i del sistema S, o, più semplicemente, necessaria a individuare tra gli N stati EEI di S lo stato i, o equivalentemente la possibilità che S assuma lo stato i con certezza (situazione che tra breve potrà rappresentarsi numericamente con 1), mentre che assuma qualsiasi altro stato distinto da i sia impossibile (situazione rappresentabile numericamente con 0).

Poiché la possibilità a priori che il sistema S sia in uno qualsiasi dei suoi N stati EEI è pari a 1/N e che il manifestarsi di tali eventualità possa essere indicata con un equidistribuzione di possibilità, ciascuna rispettivamente rappresentabile con p(j), ove j è uno degli N stati EEI, a partire da 1 e di successivo in successivo fino al naturale N, e tale che per ogni j, appartenente a questo insieme dei naturali non maggiori di N, p(j)=1/N, la somma di tutte queste N possibilità, tutte uguali, dà la certezza del verificarsi di uno e uno soltanto di tali eventi, pur non conoscendo quale di essi potrà essere. Nel caso che sia i lo stato che sarà assunto da S, dovranno concorrere tante di quelle circostanze o sopraggiungere tante di quelle specificazioni da esprimere con altrettante informazioni, affinché si abbia che lo stato i sia certo, e quindi p(i)=1, mentre tutti gli altri stati j dell’insieme dei naturali non maggiori di N e distinti da i, siano impossibili, ossia p(j)=0. Infatti, anche in questo caso la somma di tutte queste N possibilità assicura che certamente S assumerà uno stato soltanto, ma in più si conosce che questo stato è i e non un altro. Ciò che può essere constatato a posteriori quando S ha assunto tale stato ha, allo stesso tempo, comportato, da un polo di visione il concorso di una certa quantità di circostanze, da un altro la sopraggiunta di una pari quantità di specifiche e da un altro ancora l’accumularsi di un’equivalente quantità di informazioni.

A questo punto, dato che per definizione con 1 si è rappresentata la certezza e con 0 l’impossibilità, la situazione intermedia di possibilità, o meglio di probabilità, potrà essere rappresentata con un numero maggiore di 0 e inferiore a 1, mentre 1’incertezza (detta anche grado di ignoranza o di disinformazione o di falsità, a seconda del contesto), potrà essere indicata come il complemento a 1 della massima possibilità di quello stato che possa essere assunto da S (detta anche grado di conoscenza o speranza di verificabilità, a seconda del corrispondente rispettivo contesto); si determina così quindi che la situazione di massima incertezza, o disinformazione, sul sistema S, si ha quando il complemento a 1 della possibilità dello stato che S potrebbe assumere, rispetto a tutti gli altri con la massima probabilità, è massima. Ciò equivale a dire che la distribuzione dei valori di probabilità tra gli stati EEI che S potrà assumere restano sostanzialmente uguali tra loro.

L’incertezza si ridurrà fino a tendere a zero, al sopraggiungere di specificazioni circostanziate e quindi al concorso di eventi concomitanti o all’accumularsi di informazioni tali che la possibilità di uno stato i fra gli N stati EEI che S potrà assumere sia preponderante, fino ad avere il valore di certezza, e i restanti altri il valore di impossibilità.

Tali evenienze, tradotte in formule, esprimono che da una situazione di massima incertezza o disinformazione di un sistema S a N stati EEI, in nessuno di essi S ha più probabilità di essere rispetto agli altri, tale che per ognuno di essi p(j)=1/N per ogni j naturale non maggiore di N (ma anche in situazioni di distribuzione di probabilità di stati non equiprobabili, ma sempre esaustivi e incompatibili tra loro, in effetti ogni sistema può essere ricondotto a quello decomposto in tutti e soltanto, esaustività, gli stati elementari che potrà assumere anche se con possibilità diversificate, ma tra loro incompatibili, incompatibilità[1]), si passa ad una di minima quando uno stato, ad esempio i, è preminente rispetto agli altri nell’assumere S tale stato con possibilità p(i)=1, mentre tutti gli altri con j¹ i p(j)=0. In tal caso l’informazione è massima. Il modo più naturale per individuare quello stato i che tra gli N stati EEI il sistema S possa assumere, occorre esemplificare al massimo la metodica di acquisizione di notizie, necessario a formare la complessiva informazione necessaria a definirlo.

Essa deve portare da un grado di conoscenza minimo, che si ha quando in un sistema S a N stati EEI in tutti gli stati ha pari possibilità, p(j)=1/N, per ogni stato j degli N che S può assumere, la cui disinformazione o incertezza iniziale è data da 1-1/N=(N–1)/N e quindi massima, a una in cui lo stato i è quello assunto da S per cui la possibilità p(i)=1 o che S assuma certamente tale stato, restando così impossibile che assuma qualcuno dei rimanenti, essendo tali stati EEI (anche incompatibili), per cui p(j)=0 per tutti gli j¹ i, tale che essendo 1-max p(j)=0, essendo max p(j)=p(i)=1, la disinformazione o ignoranza è 0 e quindi la conoscenza è 1.

Un metodo molto semplice ma esaustivo per conseguire l’individuazione dello stato i che il sistema S potrà assumere tra gli N stati possibili consiste nella sua ricerca dicotomica tra essi. Questa ricerca si conduce dividendo gli N stati in due parti N-N1 ed N1 di cui una sola di esse contiene lo stato i. Se i è uno degli N stati, si avrà la certezza che sia in una delle due e l’impossibilità che si trovi nell’altra. Nel caso che sia in N-N1 allora p(N-N1)=1 e p(N1)=0, se viceversa fosse in N1 allora p(N-N1)=0 e p(N1)=1. Supposto che sia N1 a contenere certamente i suddivisa in due sottoparti N1-N2 ed N2, i sarà con certezza in una di esse mentre sarà impossibile che sia nell’altra. Nel caso che sia in N1-N2 allora p(N1-N2)=1 e p(N2)=0, se viceversa fosse in N2 allora p(N1-N2)=0 e p(N2)=1. Supposto che i sia in N2, suddivisa questa in due sottoparti N2-N3, ed N3, i sarà con certezza in una di esse mentre sarà impossibile che sia nell’altra. Nel caso che sia in N2-N3 allora p(N2 - N3)=1 e p(N3)=0, se viceversa fosse in N3 allora p(N2-N3)=0 e p(N3)=1. Continuando per successive suddivisioni, supposto che N1=N/2; N2=N1/2=N/22; N3=N2/2=N/23; …; Nm=Nm – 1/2=N/2m processo che ha termine nel momento che Nm=1, e questo significa che si è giunti ad una parte consistente di un solo elemento, lo stato i che S assume con certezza, per il quale quindi p(i)=1, mentre l’indice e l’esponente m è la quantità di informazione che corrisponde al minimo numero di suddivisioni dicotomiche (o binarie, espresse con le due cifre 1, per la certezza di appartenenza dello stato i ad una delle due sottoparti, e 0, per l’impossibilità di appartenenza dello stesso stato quella sottoparte alla complementare rispetto alla parte di esse costituita) del numero N degli stati EEI di S che, preso come esponente di 2, dà per minima una potenza superiore al naturale N. In altri termini, poiché m è il minimo numero di suddivisioni dicotomiche di N, tale che 2m³N, m è la quantità d’informazione necessaria a individuare lo stato i tra gli N stati EEI di S. In altri termini, tale quantità d’informazione non è altro che l’esponente da dare alla base 2 per avere il minimo naturale superiore a N, numero degli stati EEI di S, il che significa che è il minimo naturale superiore al lg2 N.[3]

La quantità di informazione Ii così espressa si misura in bit.[4]

Appendice E

Molti sono i chiamati … e il timor vacui

In Q.I. 120 quiz di intelligenza, 2a parte, su logica, psicologia, scienza, matematica e prove di abilità, come riporta la copertina di tale edizione fuori commercio riservata ai lettori di Newton, e precisamente l’Allegato al n. 8 del 2001 di questa diffusissima rivista di buona divulgazione scientifica, a p. 27 del capitolo 6 dal titolo Sapresti cavartela? compare il test n°4, che è una variante dell’enigma di Monty Hall. In un gioco a premi il concorrente, trovandosi davanti a 10 porte chiuse, dietro ad una delle quali ci sia una Ferrari mentre dietro a tutte le altre una banana, deve sceglierne una; dopo la scelta, il conduttore del gioco, che sa dov’è nascosta la Ferrari, apre otto porte che nascondono banane, lasciandone una chiusa oltre a quella scelta dal concorrente, offrendogli ora, dietro pagamento di 100.000 lire, la possibilità di scambiare la porta su cui ha puntato con quella che lui ha lasciato chiusa, il ragionamento:

Inizialmente la porta su cui tu hai puntato aveva 1/10 di probabilità di essere quella giusta. Tale probabilità non è cambiata, ovviamente, dopo che io ho aperto le otto porte, ma la porta che io ho lasciato chiusa, a questo punto, deve avere 9/10 di probabilità di essere quella giusta, visto che quella delle otto porte aperte è uguale a zero. Quindi ti conviene decisamente pagare e scambiare la porta su cui puntare. Ti conviene effettuare lo scambio?

Ma questo ragionamento è la risposta dal Libro, non c’è dubbio, senz’altro lo scambio è vantaggioso! Quindi Graham per Erdős e Hoffman per i lettori della bibliografia su Erdős sarebbero stati abbondantemente surclassati, e io mi sarei potuto risparmiare tutto questo mio dire e questo articolo sarebbe stato superfluo.

Ma non c’è da illudersi, perché non c’è mai limite al peggio!

Infatti, lo stesso libretto, che a p. 61 prosegue con la risposta a quel quesito, riporta testualmente: “Non ti conviene accettare lo scambio. Ti trovi infatti davanti a due porte chiuse, ognuna delle quali ha quindi la probabilità di 1/2 di nascondere la Ferrari quindi cambiando la porta su cui puntare non ti avvantaggi.”

A meno che il Q.I. non sia rivolto agli scimpanzé, il tunnel mentale di cui tanto parla Massimo Piattelli Palmarini e per cui venne dato della “capra” alla Vos Savant tutt’ora imperat.

A questo punto occorrerebbe aggiungere che non è sufficiente sbirciare nel “Libro”, gelosamente custodito dal FS di Erdős, forse perché anche se molti sono i chiamati pochi sono eletti? o più semplicemente perché errare humanum est, perseverare diabolicum?

Ma forse nulla di tutto questo!

Occorre soltanto una maggiore e corretta diffusione anchedelle idee più riposte e una comunicazione più diretta fra specialisti e cultori ad essi imparentati per aree limitrofe di sapere, al fine di aumentare la possibilità di propalazione e di corretta comprensione di quelle idee con meno fraintendimenti possibile, fino a stabilire una comunicazione con deformazione e rumore minimi.

A tal riguardo Lucio Russo, nel saggio La rivoluzione dimenticata (Russo, 1997), nel sostenere che quando la specializzazione è molto spinta, oggi tra i contemporanei e ieri tra gli Ellenisti, si viene a perdere lo sguardo d’insieme, la memoria storica e il perché delle cose, in un processo sempre più denso di approfondimenti, condotto e condiviso da pochi specialisti, fino a giungere ad un punto di non ritorno, che si manifesta quando “i più” di una certa epoca finiscono col non riuscire a comprendere nemmeno i più elementari perché di base di quelle conoscenze conquistate dai “pochi” per tutti. Questo punto di non ritorno innesca inevitabilmente una caduta rapidissima dei posteri in periodi di oscurantismo e di regresso della conoscenza. Il rimedio sarebbe, come lo stesso autore suggerisce nell’altro suo breve saggio dedicato alla scuola italiana, Segmenti e bastoncini (Russo, 1998), che quando il livello di profondità dei concetti è così spinto da richiedere conoscenze sempre più specialistiche, tanto da poter essere detenute da cultori sempre meno numerosi, è necessario ampliare la visuale di questi, magari col farli risalire, ogni tanto, di qualche livello meno profondo rispetto a quello in cui sono addentrati, e porli in contatto, quanto più possibile, con quelli che da questi livelli meno profondi, per competenza, non sono troppo distanti, e così via di livello in livello e di contiguità in contiguità, fino a permeare il più correttamente possibile, per capillarità e per osmosi, le idee di fondo in gruppi sempre più ampi di contemporanei.

Invero questi temi e la necessità di propalazione del sapere scientifico di frontiera non sono nuovi. Innanzitutto quest’ultima, sin dai primordi dell’epoca in cui la

[…] tendenza a suddividersi sempre più in nuovi rami (Cattaneo, 1843, 3)

di vari settori scientifici divenne significativa, fu propugnata da Carlo Cattaneo che, come ricorda Paola Govoni, (Govoni, 2002, 80, 84), auspicava la divulgazione non soltanto per un fatto di “traduzione” o

“diffusione” del sapere, ma come una componente essenziale dello sviluppo della scienza stessa perché

[…] il cultore di ogni singola scienza può allungar lo sguardo al di là del suo confine, trar lume dai lumi altrui, ed esempio dall’altrui cammino (Cattaneo, 1843, 4).

E infine, il compito della comunicazione scientifica tra esperti di distinte specializzazioni, e quindi della divulgazione scientifica, è utile anche ai non esperti, com’è sostenuto ancora dal Cattaneo nella Presentazione alla rivista Il Politecnico, anticipatrice di trent’anni della corrispondente inglese Nature, che, tramite essa, si prefigge di

[…]farci quasi interpreti e mediatori fra le contemplazioni dei pochi e le abitudini di molti (Cattaneo, 1839, 4).

Si sosteneva dunque che scienziati di alto profilo fossero disposti a farsi anche divulgatori, Cattaneo ne fu l’interprete, e oggi più che mai è indispensabile che la scuola secondaria sia il pubblico principale a cui quell’azione sia rivolta, è l’auspicio di Lucio Russo. Ma ciò è necessario anche per evitare che i vuoti, quasi per un timor vacui intellettuale, siano riempiti dagli espedienti di improvvisati “reificatori” dell’immaginario che, dietro ermetiche espressioni allusive spacciate per scientifiche ragioni o per argomenti di provata scientificità, camuffino il nulla e, nell’ap­profittare dell’assenza di un competente presidio, divulghino e diffondano, senza freni inibitori, atteggiamenti e conoscenze irrazionali, che rispondono a modo loro agli interrogativi di sempre[1].

 

Appendice F

Le unità di Planck

L’equivalenza fra temperatura ed energia è riportata da Gunth, (Gunth, 1981, 347), e da Margherita Hack (Hack, 2000) in cui si giustificano i valori di equivalenza particolari tra temperatura ed energia dianzi ottenuti come valori notevoli interrelanti le grandezze convenzionali di lunghezza, tempo e massa di Planck.

Infatti, in questa nota, si ricordano le definizioni :

1.              della lunghezza di Planck, indicata con Lp, come quella distanza a cui la forza di gravità attrattiva di due protoni eguaglia la forza elettrica repulsiva fra essi, che corrisponde alla scala di lunghezze a cui la gravità deve essere trattata dalla meccanica quantistica, a cui cioè avviene l’unificazione delle quattro forze fondamentali (problema questo non ancora risolto): Lp=(Gh/2pc3)1/2@10–33cm, in cui G è la costante gravitazionale universale pari a 6,672 10-8 dyne cm2/g2, ed h la costante di Planck pari a 6,63 10-27erg s;

2.              del tempo di Planck, indicato con tp, come quello impiegato dalla luce a percorrere la lunghezza di Planck è quindi pari a tp=Lp/c@10 –43s;

3.              della massa di Planck, indicata con Mp,come quella dell’ipotetica particella avente una lunghezza d’onda pari a Lp, che, in virtù di E=hc/l=mc2, l=h/mc, per l=Lp si ha, posto m=Mp=h/Lpc, Mp =h/((Gh/2pc3)1/2c =(2phc/G)1/2 =1,4 10–4g e cioè una massa pari a circa 1020 volte la massa del protone, rapporto quest’ultimo ottenibile col dividere una mole di idrogeno atomico pari a 1,008g per il numero di Avogadro N=6,22 1023 di particelle/mole.

Da quanto premesso, si conclude infine che, per quanto riguarda la temperatura, si possono usare le unità che la misurano in funzione della massa, consistente nella relazione su enunciata di E=kT=mc2, la quale nel tempo di Planck fa corrispondere ad una temperatura T=Mpc2/k@1033 °K un’energia equivalente E di 1020GeV. CVD.

 

Fine

 


[1] Cfr. a tal proposito Alan Sokal e Jean Bricmont (Sokal Bricmont, 1999), professori di fisica, all’Università di New York il primo e di fisica teorica all’Università di Lovario il secondo, in polemica con molti maîtres à penser contemporanei, che si sono appropriati di concetti fisici e matematici, assolutamente senza capirli, per costruire ipotesi filosofiche di moda, si sono prefissati l’obiettivo di ristabilire un rapporto autentico tra la realtà e l’apparenza che di essa si ha e il ruolo della scienza nella società contemporanea.

L’ardore e la metodicità che caratterizzano questa contesa ha degli illustri precedenti, si pensi ai circostanziati strali di Platone nei confronti dei Sofisti e a quelli non poco salaci e specifici di Molière, diretti alla saccente classe medica del suo tempo.


[1] Anche la non equiprobabilità di assunzione del sistema S di ciascuno degli stati elementari in cui è decomposto, ferme restanti le condizioni di incompatibilità ed esaustività di questi, assicura l’invarianza del valore unitario della loro sommatoria.

[2] Infatti dalla relazione 2m ³N, passando ai logaritmi in base 2, si ha m lg2 2 ³ lg2 N e quindi m ³ lg2 N. CVD.

[3] Acrostico inglese di binary digit, cifra binaria tra le due 0 e 1, che dal significato, letterale compiuto di briciola, attribuita all’informa­zione dà luogo poi alla coerente ed efficace metafora anche sugli immediati composti di consistenza compiuta, come il byte acronimo di binary octette, ottetto binario, che, dall’omofono bite, morso d’informazione (sempre per restare in metafora), si è riferito all’unità di carattere alfanumerico e speciale tra i 256 possibili, individuabili con otto bit (28), ma anche di sei bit (26), se riferito al set ridotto di 64 caratteri alfanumerici e speciali essenziali dell’informatizzazione delle prime generazioni, e il nible, mezzo morso, consistente di 4 o 3 bit in corrispondenza del mezzo byte (più diffusamente conosciuto con la dicitura distintiva del  mezzo byte alto e del mezzo byte basso, ove alto e basso si riferiscono agli esponenti di 2 nella rappresentazione posizionale binaria del numero, e quindi sono rispettivamente la metà a sinistra e quella a destra delle cifre costituenti l’intero byte) rispettivamente di 8 o di 6 bit.


[1] Il termine equiprobabile, importantissimo nella teoria della proba­bilità, ha una sua definizione conseguita con una certa difficoltà.

Per il principio di ragion insufficiente, che può condurre a conclusioni paradossali se si resta nell’ambito della logica col principio del terzo escluso, ma che vengono superate in quella modale e in quella empirica (cfr.: a tal riguardo l’argomentazione, non rigorosa ma efficacemente persuasiva, svolta da Nicholas Falletta (Falletta, 2001, 139-140) ed è contrapposto il principio della ragion sufficiente, si definiscono casi equiprobabili tra più casi in gioco quelli per i quali non vi sia (per quanto si sappia in un determinato contesto) alcuna ragione di scegliere uno tra essi, e quindi motivo per privilegiare un risultato rispetto agli altri possibili. In tali circostanze si può ragionevolmente credere che le possibilità di realizzazione dei casi in gioco siano uguali.

La corrispondente definizione, basata sul principio di ragion sufficiente, si fonda invece sul presupposto che più casi in gioco devono ritenersi equiprobabili se e solo se c’è almeno una ragione per supporre che essi lo siano.


[1] Detto equilibrio statico, sussistente nell’annullamento della sommatoria degli scarti lineari dal centro massa dell’intero manufatto dei centri massa di ciascuna delle diverse porzioni che lo costituiscono. La rilevanza di ciascuno scarto è appesantita dalla massa di ognuna delle rispettive porzioni, con segni tra loro concordi o discordi a seconda che, rispetto al centro massa complessivo, imprimerebbero al manufatto o rotazioni o uguali, oppure contrarie.

[2] Detto equilibrio dinamico, consistente invece nel valore minimo della sommatoria degli scarti quadratici dal centro massa con le medesime convenzioni già enunciate per l’equilibrio statico.


[1] L’entità di differenza tra le dimensioni del manufatto e della grana del materiale costituente, affinché quest’ultima si possa considerare di entità praticamente trascurabile, deve essere di almeno di un paio di ordini di grandezza (cento volte) inferiore alla minima di quelle, così come il Calcolo applicato alle rilevazioni e misure sperimentali e la Teoria degli errori suggeriscono