Il paradosso di Achille e la tartaruga

 

Il piè veloce Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga, se questa ha un vantaggio iniziale, per quanto piccolo”.

MathMese

Pubblicazione mensile della sezione Mathesis “E. D’Ovidio” – Campobasso

 

DIRETTORE RESPONSABILE: Filippo PoleggiCAPO REDAZIONE: Sergio De NuccioSEGRETARIO DI REDAZIONE: Antonio CaserioREDAZIONE:A. Antinucci, A. Aquilino, F. Laudano, E. Lustrato, R. Raucci. G. Vitullo.

REGISTRAZIONE: Tribunale di Campobasso n° 276     del 20 maggio 2002

SEDE: Scuola elementare “E. D’Ovidio” – via Roma, 41  - 86100     Campobasso

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Anno I, Numero 3

Luglio  2002

 

 

Zenone di Elea

(490 ca – 430 aC.)

Il lavoro deve essere scritto in Word e, di norma, non può superare 1 pagina (due colonne). TITOLO: al centro; carattere Arial; dimensione 9; grassetto .

AUTORI: al centro; carattere Arial; dimensione 8 – TESTO: giustificato a sinistra e a destra; carattere Times New Roman; dimensione 9; interlinea singola.

 

UN PARADOSSO SUI TRIANGOLI EUCLIDEI

di Francesco Laudano

(Liceo Scientifico A. Romita – CB)

 

Alcuni anni fa, durante un corso di aggiornamento residenziale, una avvenente collega siciliana, della quale purtroppo non ricordo il nome, mi propose uno strano “esercizio”. Si trattava di scovare l’errore in una dimostrazione di geometria euclidea che conduceva ad una tesi paradossale[1]. La questione è tanto semplice da poter essere presentata ad alunni delle classi prime delle superiori. Tuttavia essa può suscitare profonde riflessioni epistemologiche, sul rapporto tra l’aspetto formale degli enunciati di geometria euclidea e la loro interpretazione. Mi è parso opportuno, quindi, dopo aver riveduto ed approfondito il paradosso, riproporlo a colleghi ed alunni.

 

1.        Il  paradosso

Per rendere più fluido la sviluppo della dimostrazione, sarà utile ricordare due semplici enunciati di geometria del piano.

 

Prop 1. L’asse di un segmento è il luogo dei punti del piano equidistanti dagli estremi del segmento.

 

Prop 2.  La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti del piano equidistanti dai lati dell’angolo.

 

E’ superfluo sottolineare che queste proposizioni, presenti su tutti i testi di geometria euclidea, sono incontestabilmente vere.

Ed eccoci alla proposizione paradossale. Per rendere più intrigante lo sviluppo dell’argomentazione ne lascio incompleto l’enunciato. Sarà completato dopo averne data la dimostrazione.

 

Prop 3. Tutti i triangoli sono …………………….

 

dim: Sia ABC un triangolo non isoscele, e siano a l’asse del segmento AB e b la bisettrice dell’angolo in C.

Si osservi, innanzi tutto, che a e b debbono necessariamente incontrarsi. Se così non fosse, infatti, la bisettrice b (essendo parallela all’asse a) dividerebbe il triangolo ABC in due triangoli rettangoli ADC e BDC. Questi triangoli, avendo anche gli angoli ACD e BCD congruenti ed il lato CD in comune sarebbero congruenti. Di conseguenza il triangolo ABC sarebbe isoscele. Dunque, poiché stiamo considerando un triangolo ABC non isoscele, a e b debbono necessariamente incontrarsi. Sia O il loro punto d’intersezione.

 

 

La parte successiva del ragionamento sarà sviluppata suppo-nendo che il punto O non sia interno al triangolo ABC. Se O si suppone interno si può ragionare in modo analogo.

Poiché il punto O appartiene all’asse a, per la proposizione 1 i segmenti AO e BO sono congruenti. Quindi, se O è esterno al triangolo ABC, il triangolo AOB è isoscele. Pertanto gli angoli OAB ed OBA sono congruenti.

Siano H e K, rispettivamente, le proiezioni di O su AC e su BC. Poiché O appartiene alla bisettrice b, per la proposizione 2, OH ed OK sono congruenti. Quindi i triangoli AOH e BOK risultano congruenti per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli. Infatti, essi, oltre all’angolo retto, hanno congruenti le ipotenuse AO ed OB ed i cateti OH ed OK. Di conseguenza gli angoli OAH ed OBK sono congruenti.

Quindi se O si trova sul segmento AB il triangolo ABC risulta isoscele. Se, invece O è esterno al triangolo ABC, con riferimento alla figura disegnata, si è dimostrato che:

1.        gli angoli OAH ed OBK sono congruenti,

2.        gli angoli OAB e OBA sono congruenti.

Dunque, per differenza di angoli congruenti, risultano congruenti anche gli angoli BAC e ABC.

Si è, quindi, dimostrato che il triangolo (non isoscele) ABC è, in ogni caso, isoscele! In altre parole: tutti i triangoli sono isosceli. Come si spiega questo paradosso?

 

UN PRESIDENTE MATEMATICO

di Antonio Caserio

( Liceo Artistico “G. Manzù” – CB)

È opinione di tutti gli storici che il teorema di Pitagora (1) abbia rappresentato una delle scoperte più importanti della matematica antica, comune del resto a quasi tutte le civiltà. Le innovazioni che da esso derivarono furono moltissime sia nel campo applicativo (agrimensura, costruzione di edifici ecc.) sia nel campo astratto (geometria teorica, aritmetica superiore, numeri irrazionali ecc.). La sua importanza non doveva essere sfuggita nemmeno a Pitagora tanto che la leggenda racconta che egli, per celebrarne la scoperta, fece sacrificare cento buoi agli dei (2). Il teorema, dunque, è meritatamente famoso e si può affermare, senz’altro, che abbia interessato chiunque si sia accostato, nel corso della sua vita, alla matematica.

Ne è la conferma un libro interamente dedicato al teorema, che la dottoressa Elisha Scott Loomis pubblicò nel 1940.  Nel testo The Pythagorean Proposition, scaturito dalla sua passione per la matematica, la dottoressa raccolse tutte le differenti dimostrazioni allora note del teorema, oltre 370. Si va da matematici di chiara fama (Bhaskara, Fibonacci, Wallis, Huyghens, Leibniz, De Morgan ma anche Leonardo) a perfetti sconosciuti o dilettanti.

Fra le tante dimostrazioni presenti nel libro è degna di essere conosciuta, per la sua semplicità, quella escogitata, nel 1876, da  James Abram Garfield (1831 - 1881), ventesimo presidente degli Stati Uniti (3).

Illustriamo, nel seguito, questa piacevole dimostrazione che sembra l’unico contributo dato alla matematica da un presidente americano.

Sia BAC un triangolo rettangolo in A, avente i cateti AC e AB lunghi rispettivamente a e b mentre l’ipotenusa BC è lunga c. Si costruisca sul prolungamento del cateto AB il triangolo BED, rettangolo in E, congruente a BAC con BE = AC, come in figura 1. Si congiunga, quindi, il vertice C con D in modo da ottenere il trapezio rettangolo AEDC.

Si osservi che il triangolo CBD è isoscele e rettangolo in B, poiché l’angolo  è supplementare dei due angoli  e , tra loro complementari.

Si determini, ora, l’area del trapezio AEDC nei seguenti modi:

 

 

(i)    Area (AEDC) = Area (ABC) + Area (CBD) + Area (BEC) = ;

(ii)  Area (AEDC) =  =  =  = .

Dall’uguaglianza   =  dei due risultati, si deduce quindi:

 

che esprime la relazione di Pitagora per le misure dei lati del triangolo rettangolo dato.

Garfield medesimo raccontò di avere trovato la dimostrazione in un momento di  pausa dei lavori del Congresso, dopo un’accesa discussione sull’ordine del giorno, e che fu l’unica cosa in cui al termine tutti i deputati, senza distinzione di partito, furono d’accordo!

Non resta da dire che questa dimostrazione del celebre teorema è alla portata di chiunque sappia calcolare il quadrato di un binomio e determinare l’area di un trapezio.

 

Note

(1) È appena il caso di ricordare che il teorema afferma che in un qualunque triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti.

(2) Con ironia, qualche bello spirito subito osservò che, da quel giorno, trema la razza dei buoi ogni volta che un matematico scopre una verità.

(3) Garfield, nato ad Orange nell’Ohio, combatté nell’esercito unionista durante la guerra di secessione americana e divenne generale nel 1863. Successivamente fu deputato e senatore del suo Stato e si batté per la ricostruzione del Sud sconfitto e per i diritti dei negri. Eletto presidente  nel novembre del 1880 fu assassinato qualche mese dopo, ad Elberon nel New Jersey, da un assiduo postulante.

 

UN POSSIBILE APPROCCIO ALLA LOGICA

 

di Sergio  De Nuccio - Campobasso

 

   Introduzione -. Da molti anni i programmi di matematica di ogni ordine scolastico prevedono l’insegnamento di alcuni argomenti di Logica, che nel biennio delle scuole secondarie superiori sono: la logica delle proposizioni; proposizioni elementari e connettivi; valore di verità di una proposizione composta; inferenza logica, principali regole di deduzione; variabili, predicati, quantificatori.

  Nei commenti ai programmi viene raccomandato esplicitamente di

trattare questi argomenti in modo da abituare lo studente a esprimersi correttamente, a ragionare con rigore logico, a sentire la necessità di tradurre idee intuitive in concetti formali.

  Dopo tanti anni di sperimentazione si avverte la sensazione che questi suggerimenti siano stati quasi completamente ignorati. Sembra che per la Logica si sia ripetuta l’esperienza negativa dell’Insiemistica. Questo argomento, un tempo enfatizzato e spesso incompreso, nella pratica didattica è stato sempre trattato come un semplice insieme di regole che riguardano i diagrammi di Eulero-Venn. Allo stesso modo si è identificata la Logica con la Logica proposizionale e, quasi sempre, quest’ultima è stata trattata come un insieme di regole per la compilazione delle tavole di verità di espressione proposizionali più o meno ricche di connettivi. Salvo qualche rara eccezione, nei manuali scolastici più diffusi gli argomenti di logica sono stati culturalmente isolati, trattati come oggetti a sé stanti in un capitolo all’inizio o alla fine del testo. In questo modo è venuta meno la possibilità di guidare gli insegnanti, meno preparati sul tema, a progettare uno specifico percorso didattico, sfruttando anche le numerose occasioni offerte  da molti argomenti tradizionali.

  Ciò che vogliamo proporre in questo articolo e nei successivi è un diverso approccio agli argomenti di logica, che tenga conto delle raccomandazioni  contenute nel commento al tema. E’ un modo di trattare la Logica, a livello di biennio, che si basa sulla consapevolezza che, mentre la matematica si esprime in un linguaggio, in logica il linguaggio stesso è oggetto di studio. All’inizio la logica viene vista come Scienza delle regole del linguaggio e in seguito come Scienza del ragionamento corretto.

Con la collaborazione dell’insegnante di Lettere, si programmano alcune lezioni per analizzare la struttura sintattica e semantica di un linguaggio naturale, per poi introdurre opportune ipotesi di lavoro che consentano di costruire, a partire da quest’ultimo, il linguaggio della Logica proposizionale e della Logica dei predicati. Il percoso didattico deve attuarsi con riferimenti storici significativi per dare allo studente brevi notizie sull’origine e sugli sviluppi successivi della Logica.

La Logica greca. – Per Aristotele, Zenone di Elea era il fondatore della dialettica, ma i primi filosofi che s’interessarono a problemi di logica furono due allievi di Socrate: Euclide di Megara e Platone. Aristotele, allievo di Platone, elaborò la Teoria del sillogismo, che doveva essere una teoria generale dell’inferenza. In realtà, questa teoria non è poi così generale perché  si limita a codificare una classe di inferenze che hanno una struttura del tutto particolare. Essa rappresenta una piccola parte della cosiddetta Logica dei predicati monadici in cui le proposizioni vengono analizzate secondo la struttura soggetto-predicato, con l’ipotesi che ogni predicato possa applicarsi ad un solo soggetto. Assente quasi del tutto nella teoria aristotelica del sillogismo è la Logica proposizionale che tratta dei connettivi logici. Essa è una sottoteoria della logica dei predicati ed ebbe origine con i Megarici e gli Stoici. La scuola megarica, fondata da Euclide di Megara, precedette quella stoica, perchè i fondatori di quest’ultima, Zenone di Cizio e Crisippo di Soli, impararono la loro logica dai megarici Diodoro Crono e Filone di Megara. La logica megarico-stoica si sviluppò contemporaneamente e parallelamente alla logica di Aristotele, ma con differenze abbastanza marcate. La prima è, come si è detto, una logica delle proposizioni mentre la seconda è una logica dei termini; la prima è costituita esclusivamente di regole, mentre la seconda di leggi; Aristotele, da allievo di Platone, cerca le essenze e quindi risponde alla domanda: “A appartiene a B?”, i Megarici, invece, partono dalla domanda preplatonica: “Come si può confutare l’enunciato p?”. (continua).

 

 



[1] Cfr. YA. S. Dubnov  Errori nelle dimostrazioni di geometria”, P.T.E.-Milano, Esempio 6, pag. 12 , 1965.